05 dic ore 20.45

1 Dicembre 2015

Nel sud pugliese, il proprietario di un podere e di diversi ettari di terra, Nicola Sansone, viene arrestato e le sue proprietà prima confiscate e poi assegnate a una cooperativa locale incapace di gestirle per negligenza e impreparazione. Dal Nord ad aiutarli viene mandato Filippo, stratega dell’associazionismo da antimafia, uomo da scrivania, esperto di leggi e regolamenti, ma inesperto quando si tratta di sporcarsi le mani con la realtà. A Sud Filippo trova il Sud con tutte le sue contraddizioni, affascinazioni, collusioni, non detti, speranze, creatività e via dicendo, un coacervo di luoghi comuni resi plastici dalla missione che si è dato: far funzionale la cooperativa. Tra i personaggi tutti “tipici” che incontra sulle terre confiscate, c’è Cosimo, lo storico fattore del proprietario Sansone, che nelle more di un giudizio definitivo continua a coltivare l’appezzamento che ben conosce perché un tempo era della sua famiglia, prima che il boss locale, ora agli arresti, se lo prendesse. Filippo e Cosimo ingaggeranno un confronto tra burocrazia e senso della vita che porterà il primo a cambiare e il secondo a redimersi.
Giulio Manfredonia torna con La nostra terra sul solco della commedia etica già inaugurata con il fortunato Si può fare che raccontava una vicenda nello spirito non dissimile da questa: un sindacalista viene mandato a gestire una cooperativa composta da ex pazienti di un manicomio. Quel che si racconta alla fine è questo: fare l’impresa gestendo un bene comune secondo i principi del politicamente corretto. Aggiornando il tema, dunque, Manfredonia individua il nuovo “bene comune”, le cooperative antimafia (realtà già attive da molto tempo ma mai raccontate al cinema, tanto meno nei modi della commedia), e su di esso costruisce una sceneggiatura molto calibrata, fino all’eccesso.
Se non fosse per la straordinaria bravura di alcuni suoi interpreti (Sergio Rubini tra tutti, che riesce a dare corpo, odore, ironia, pensiero, azione a un personaggio altrimenti bidimensionale), La nostra terra avrebbe assunto il tono di una lezioncina in punta di penna, una commedia con tutti gli ingredienti a loro posto, scritta con il bilancino, schematica e meccanica, e per questo prevedibile, con personaggi inseriti come ingredienti tipici di una ricetta da masterchef televisivo. Si sente dunque il lavorio di questa costruzione drammaturgica, rotto dalla verve e dall’invenzione di attori veri a autoironici (Sergio Rubini, Iaia Forte) che anche solo con un gesto riescono a smarcarsi dalla rigidità di una sceneggiatura che li ha pensati troppo, definendoli a volte come macchiette.
La nostra terra è comunque una commedia intelligente e divertente, una favola etica sui limiti del buonismo da terzo settore e sull’italietta dei sempre bravi che ce la possono fare. Un remake meridionalista e “bio” di Si può fare, senza le nevrosi di Bisio ma con le ossessioni di Accorsi, senza i mattarelli del nord ma con i contadinelli del sud, di nuovo conio o vecchia tradizione, inventati o veri, figli di una Apulia sempre più virtuosamente commission.