A tu per tu con la pandemia: la riflessione della psicologa Elena Cappa

3 Dicembre 2020

A distanza di soli otto mesi ci ritroviamo a rivivere una situazione spiacevole e difficile: abbiamo assistito ad una nuova limitazione delle nostre libertà, ci ritroviamo a fare ancora i conti con divieti di spostamento e autocertificazioni, abbiamo un coprifuoco da rispettare, siamo arrivati di nuovo alla chiusura di molte attività “non indispensabili”, veniamo ancora bombardati, ad ogni ora del giorno, dai numeri dei contagiati, dei positivi, dei positivi sintomatici e dei positivi asintomatici, dei ricoverati in terapia intensiva, dei deceduti, dei guariti, dalle previsioni sull’andamento della curva pandemica, dalle ipotesi per il fantomatico vaccino che sembra tardare sempre di più. Tutto questo crea confusione e senso di incertezza.

Non è nostro compito giudicare la legittimità di queste scelte, ovviamente complesse, però risulta lampante che in questi mesi non abbiamo fatto abbastanza per gestire questa prevedibile “seconda ondata”.

Diversi studi hanno dimostrato come già il primo lockdown avesse provocato un significativo aumento dei livelli di stress e delle patologie correlate, con effetti psicologici molto gravi per alcune persone. E, se l’estate appena trascorsa ci ha permesso di rimuovere i ricordi negativi associati al primo periodo di chiusure, l’inverno che ci attende potrebbe rappresentare un brusco ritorno alla realtà.

Se il Governo esclude l’ipotesi di un nuovo lockdown generalizzato, sempre più persone manifestano la paura di dover subire un’altra quarantena in casa, con tutte le possibili ripercussioni negative del caso. L’ansia delle nuove restrizioni incombe come una spada di Damocle su diversi aspetti della nostra vita quotidiana e impatta anche sulla sfera psicologica.

La nostra psiche ha una capacità innata di fronteggiare le avversità, ma il continuo protrarsi di questa situazione di emergenza ci mette duramente alla prova. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha coniato il termine pandemic fatigue proprio per far riferimento a una sindrome da iperstanchezza cronica correlata alla pandemia e a uno stato di crisi prolungata, che ha richiesto l’implementazione di misure restrittive senza precedenti: distanziamento sociale, stravolgimento delle modalità scolastiche, mascherine, smart working, limitazione delle relazioni sociali. E ora, che stiamo ancora scontando gli effetti del precedente lockdown, facciamo ancora più fatica ad accettare nuove restrizioni, anche perché manca totalmente un orizzonte temporale certo. Mentre l’ondata delle chiusure di marzo, per quanto traumatica e inattesa, è arrivata su persone che avevano buone o discrete risorse per farvi fronte, un secondo lockdown andrebbe a colpire un terreno psicologicamente già provato da mesi.

Le reazioni a cui assistiamo nella popolazione sono diversificate.

C’è chi è terrorizzato dal virus, si sente esposto a una minaccia invisibile senza difese e cerca costantemente fonti attendibili e autorevoli alle quali allineare il proprio pensiero, facendosi spaventare da qualsiasi informazione. Questa paura rischia di tramutarsi in angoscia generalizzata e di paralizzare ogni ambito della vita.

C’è, all’opposto, chi nega qualsiasi cosa, seguendo teorie complottiste e sprezzando ogni pericolo. Trasgredire alle regole (più o meno legittime) e negare l’esistenza di una crisi in corso è di solito una strategia di difesa universale che consente di togliere di mezzo quello che non si vuole vedere o accettare, ossia questo profondo senso di incertezza e confusione.

E poi c’è chi oscilla tra la paura e il tentativo di distrarsi, sentendosi frustrato a causa delle nuove limitazioni e diventando più suscettibile, nervoso e meno propenso a sottostare alle regole.

Come possiamo dunque affrontare nel modo migliore questo periodo così difficile?

Innanzitutto è necessario ridimensionare il panico e l’angoscia, ricordando che abbiamo già affrontato qualcosa di simile e abbiamo messo in campo delle risorse adattive, e pensare a come prepararsi e organizzarsi in questo momento in modo da recuperare almeno in parte il controllo sulla situazione. Percepire di essere in grado di affrontare un problema è il primo passo per ridurre l’ansia.

Nonostante le nostre routine siano cambiate, è necessario conservare il più possibile un’organizzazione della giornata. Diversi cambiamenti hanno contribuito a destabilizzare le nostre abitudini: il lavoro da casa, gli orari ridotti, l’assistenza ai figli per la didattica a distanza, il divieto di uscire con gli amici, la chiusura dei ristoranti, la chiusura degli impianti sportivi. Questo ci ha costretto a riorganizzarci. Diventa fondamentale dunque creare nuove abitudini, adatte ai cambiamenti che si sono verificati, poiché la regolarità nei ritmi di vita mantiene un senso generale di ordine e prevedibilità dell’esistenza, facendoci sentire più sicuri e protetti in un momento in cui invece, all’esterno, dominano insicurezza e disordine.

La cura dell’alimentazione, i ritmi di sonno regolari e l’attività fisica sono fattori benefici sia per la salute fisica che per quella mentale.

Il supporto sociale è un altro aspetto da non sottovalutare perché ha effetti positivi sia sull’umore che sulla sfera psichica. Fortunatamente la tecnologia ci mette a disposizione tutti gli strumenti per mantenere i contatti con amici, familiari. E’ importante riservare uno spazio di tempo per coltivare le relazioni sociali, condividere i propri vissuti, in modo tale da sentirsi meno soli.

La realtà ci sta costringendo a stringere i denti. Non è facile convivere con le sensazioni di instabilità, sfiducia e precarietà che dominano questo periodo, ma dobbiamo restare in equilibrio, ammettendo le nostre fragilità e, se necessario, chiedendo aiuto a chi ha scelto di fare dell’aiuto la propria professione.

“Ne usciremo migliori” dicevano. Forse. Per ora l’esperienza della pandemia ha reso tutti molto più fragili, anche mentalmente e quindi parlare di questi problemi, ammettere uno stato di sofferenza emotiva, dovrebbe diventare normale, perché se continuiamo a tacere gli effetti psicologi di questa pandemia, il virus non sarà più l’unica cosa di cui dovremo preoccuparci.