Avere cura del malato: come? La riflessione di padre Luciano Sandrin

7 Febbraio 2023

Nel suo Messaggio per Giornata Mondiale del Malato Papa Francesco ci ricorda che la malattia è un’esperienza umana. «Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione». Quando si cammina insieme, come chiesa sinodale, bisogna avere un’attenzione particolare per coloro che sono più fragili perché è proprio attraverso la condivisione dell’esperienza della fragilità e della malattia che «possiamo imparare a camminare insieme secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza». Tutti insieme possiamo esprimerci come comunità sanante che si prende cura dell’interezza delle persone che hanno bisogno del nostro aiuto. «Abbi cura di lui» (Lc 10,35) è la raccomandazione del buon samaritano all’albergatore. Ed è il titolo che Papa Francesco ha dato al suo Messaggio. Ognuno è chiamato a fare la sua parte.

Nella vita sono molte le esperienze che ci fanno soffrire. Nel momento del dolore (una diagnosi di malattia, una disgrazia o una perdita importante) ci chiediamo perché? È una domanda che subito si personalizza e diventa perché proprio a me? Anche se non abbiamo parole risolutive su questo problema abbiamo la possibilità di chiederci come porci di fronte alle situazioni di sofferenza. Non solo con risposte intellettuali, pur importanti, ma anche con risposte pratiche che aiutino le persone e la comunità cristiana tutta intera a resistere di fronte al male e alla sofferenza, affrontando queste realtà, continuando a rimanere fedeli a Dio, cercandone il vero volto, anche in mezzo a domande che rimangono senza risposta, ma fidandosi del suo amore, delle sue promesse e della sua salvezza. La storia di Giobbe, e della sua resilienza, ne è un esempio.

Nella Sacra Scrittura la compassione esprime in maniera significativa il particolare amore di Dio verso di noi. Ed è la compassione che caratterizza i gesti di Gesù, le sue parole e le sue guarigioni. Nella parabola narrata nel vangelo di Luca è la compassione che spinge il samaritano a fermarsi e a fare quello che ha fatto. La compassione divina è fondamento e modello di un “autentico” agire ecclesiale.

Uno dei problemi più difficili per chi assiste il malato, e in particolare per il medico, è quello della comunicazione della “verità”, o meglio dell’informazione che è giusto dare al malato sulla sua malattia. C’è una modalità relazionale che comunica speranza, prospetta realizzazioni possibili e rende più sopportabile la situazione. La speranza, nella relazione di cura, può prendere varie forme. Siamo chiamati, ognuno secondo la propria professionalità, ad “accompagnare la speranza del malato”, o forse è meglio dire “le sue speranze”, nei vari momenti del percorso di cura. La comunità cristiana ha la missione di testimoniare la speranza che nasce dalla fede nella Parola fatta carne e si esprime nella carità.

L’etichetta della pazienza ha accompagnato Giobbe fino ai nostri giorni. La Lettera dell’apostolo Giacomo parla della “pazienza di Giobbe”. Ma lui non è certo “paziente”, se con questa parola intendiamo una persona che si rassegna e sopporta passivamente le sue disgrazie. La sua storia descrive il cammino di una persona resiliente che ha resistito nei momenti più bui, ne ha cercato il significato, per capire il coinvolgimento del suo Dio nella sua storia, ed è cresciuto come persona credente nella relazione, a volte conflittuale ma sempre fiduciosa, con il suo Dio che non poteva deluderlo. E alla fine la sua speranza sarà premiata.

Mentre attendiamo il regno che viene, dobbiamo anticiparne i segni nella cura, dentro una comunità sanante, una chiesa sinodale che sostiene la nostra speranza lungo il cammino della nostra vita: nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia.

Padre Luciano Sandrin* – camilliano

* Venerdì 10 febbraio alle 20:45 padre Luciano sarà a Castel Goffredo, per un incontro in oratorio sul tema “Avere cura del malato: come?”