Il ringraziamento di un fan al grande Franco Battiato, “creatore di Bellezza”

18 Maggio 2021

Franco Battiato non è più fra noi. Da alcuni anni il silenzio attorno a lui era diventato assordante. Si capiva che il Maestro stava male. Tutti, però, aspettavamo il suo ritorno. Oggi, invece, lo dobbiamo salutare e accettare che a prenderci “cura” di noi, ora, parafrasando una delle sue canzoni più note, scritta con il filosofo Manlio Sgalambro (un inno figlio della filosofia Stoica), restano le sue canzoni.

Scrivo queste parole da fan che, negli anni, ha fatto parecchia strada per vederlo cantare, per ascoltare le sue parole e per vedere i suoi film (9 volte in concerto, senza contare incontri e conferenze e presentazioni di libri e di film). Artista completo, nel vero senso della parola. Un uomo che, nella sua lunga carriera – il primo album “Fetus” è del 1972 – ha saputo sempre e solo innovare, rinnovare e rinnovarsi. Privilegio, questo dei grandi artisti che non si accontentano mai solo di tre note, di un ritornello e della canzonetta.

La prima volta che lo vidi dal vivo fu all’Arena di Verona. Era il tour di quel capolavoro della terza fase (quella appunto nata dalla stretta collaborazione con il nuovo Empedocle, e cioè il filosofo siciliano Manlio Sgalambro) che porta il titolo de “L’imboscata”. Ricorso l’emozione dell’attesa. Un album meraviglioso. Uscì sul palco dopo che Sgalambro aveva letto alcuni passi di Platone, in greco ovviamente. Il concerto si apriva con “Di passaggio” (che pezzo, mamma mia…). Mi colpì il tappeto che, dai tempi del concerto di Bagdad (ma forse anche da prima), caratterizzava i suoi show live: uno spazio magico dal quale, per tutto il concerto, tolto i bis, non usciva mai. Forse, come amava dire, c’erano davvero forze, energie, tensioni che lo tenevano ancora lì, a quel quadrilatero. Fu magia…

Tuttavia, per contingenze legate alla nostra “Povera patria”, dal titolo di una delle sue canzoni più conosciute, per un pò non andai a sentirlo dal vivo. Peccato. Persi il tour di “Gommalacca”, album scritto ovviamente con Sgalambro e con Morgan. Prima, però, feci in tempo a vederlo, vicinissimo, alle prove del Festivalbar a Mantova, il piazza Sordello. Cantava “La Cura” e ricordo, dal tetto dal quale, la sera, vidi lo show “a sbaffo”, l’urlo dei mantovani quando uscì durante la registrazione della puntata.

“L’imboscata”, comunque, non è l’album con il quale sono arrivato alla sua musica. Lo conoscevo già perché, da sempre, sono un amante dei suoi primi lavori, quelli sperimentali che “pochi” conoscono. “Clic” è il mio album. Ed ecco perché, nonostante sia un amante di tutta la sua musica, io preferisco quei sei album e quelli scritti con Sgalambro. La seconda fase, quella prettamente pop, mi piace, ma non impazzisco (certo, “Giubbe Rosse” è fra i live che ascolto di più nel corso di un anno solare). Poi c’è stata la parentesi dei film… Dietro la macchina da presa Battiato ha saputo regalare piccoli gioielli, segno che davvero ha saputo regalare bellezza, creandola e non trovandola, come dicono alcuni, già contenuta nel famoso blocco di marmo. “Perdutoamor”, “Musikanten” con Jodorowski come attore e, soprattutto, il film documentario su Gesualdo Bufalino… splendido.

Che cosa resterà… è la domanda che tutti si pongono in queste ore. Credo che serva partire da una certezza: Battiato non è incasellabile. Non è solo un artista pop, non è solo uno sperimentatore, non è solo un cantautore e neppure un cantante: è tutto questo insieme. O meglio, ha saputo eccedere e andare oltre, sempre. L’arte, come sostiene Hegel, “è l’apparire sensibile dell’idea” e la sua arte, in modo particolare, è l’incarnazione di questa posizione hegeliana. Battiato ha saputo dare un corpo alla bellezza; ha saputo darle consistenza in modo unico. Esiste, e lo sarà per sempre, la “bellezza creata da Battiato”. Sua e solo sua, non di altri. Questa è la cifra del vero artista, perché Battiato non assomiglia a nulla e a nessuno. Semmai, da oggi, in molti faranno, o saranno, “alla Battiato”. Questa è l’eternità che si è conquistato e che ci ha lasciato, come “cura”. Non ha mai smesso di cercare vie, strade, sentieri e lo ha fatto da solo, in coppia, con altri artisti (come Alice), senza paura di darsi e mettersi in gioco. Anche questa è cosa rara in un mondo, quello dell’arte, dove collaborare è difficile e, allo stesso tempo, creare è cosa da solitari.

Cantava in un modo particolare. La voce era preparata, saliva dopo molti esercizi. In un’intervista spiegava la concentrazione di cui aveva bisogno per salire sul palco. Anche così si fa la differenza: con serietà, lentezza e precisione, valori che Calvino, nelle sue Lezioni Americhe, mette in prima linea fra quelli da portare nel futuro. Ed è qui che va ricercata la sua eredità: nell’insegnamento che afferma come per produrre bellezza serva lavorare, ricercare e mai essere paghi. La bellezza esige un tributo: quello della nostra vita. Battiato ha saputo dedicargliela e, ora, a noi resta questo tesoro. Saremo in grado di prendercene “cura”?

“Vedete come va il mondo? Ecco com’è che va il mondo”

Luca Cremonesi