La psicologa Elena Cappa: “No al body shaming per un’estate in serenità”

11 Luglio 2021

Con l’arrivo dell’estate e del caldo è inevitabile che gli abiti si accorcino e che la pelle e il corpo rimangano più scoperti. Per chi già non ama l’immagine che vede riflessa allo specchio, la stagione estiva rende il rapporto con il proprio corpo ancor più problematico. Molte persone declinano inviti in piscina per il timore di indossare un costume davanti ad altre persone, evitano di comprare un abito perché lascia le parti critiche scoperte, si lanciano in diete dell’ultimo minuto o in trattamenti estetici in procinto della vacanza al mare… E tutto questo perché nella società odierna è molto importante rispecchiare determinati standard e ideali corporei, veicolati attraverso le immagini trasmesse dai messaggi pubblicitari e sui social network.

Dal momento che i modelli di bellezza a cui le persone sono spinte ad adeguarsi sono difficilmente raggiungibili e che nessuno è privo di imperfezioni, ci si scontra spesso con un fenomeno che, soprattutto sui social, sta avendo larga diffusione e le cui conseguenze possono sfociare in esiti psicopatologici: il body shaming. Ma analizziamo nel dettaglio di cosa si tratta.

Il termine “body shaming” si riferisce ad un fenomeno che con grandissima probabilità tutti noi abbiamo osservato e a cui abbiamo assistito anche solo come terzi. Tale espressione deriva da due termini ossia “body” che letteralmente significa “corpo” e “shaming” che si rifà al sostantivo shame che significa, letteralmente, “vergogna”; ne deriva che l’espressione body shaming indichi il “far vergognare qualcuno del proprio corpo”. Tale atteggiamento viene definito come l’atto di deridere e discriminare una persona per il suo aspetto fisico attraverso commenti offensivi e sarcastici verso chi ha un corpo o un viso che non corrisponde ai parametri imposti dalla società.

Qualsiasi caratteristica fisica può essere oggetto di critica o discriminazione: il peso, la forma del corpo, l’altezza, il colore dei capelli e l’acconciatura, la forma e le dimensioni degli attributi sessuali (sia maschili che femminili), del bacino o delle natiche, la muscolatura, la presenza o meno di tatuaggi o piercing e talvolta anche malattie della pelle come l’acne, la psoriasi e la vitiligine sono giudicati come antiestetici.

A tutti noi sarà capitato di ricevere critiche o commenti poco piacevoli sul nostro corpo, di sentirci in imbarazzo per alcuni (fisiologici e normali) “difetti”, ma c’è molta differenza tra cogliere una critica singola, magari durante una festa in piscina, o da un passante in spiaggia e sentirsi invece apertamente criticati sul web, magari per una semplicissima fotografia che noi ritenevamo anche carina.

Il body shaming, infatti, accade frequentemente nel web perché, chi lo attua, sente di essere protetto da un nome falso o dalla distanza interposta dal dispositivo. Il web funge da cassa di risonanza poiché certi commenti rimangono lì, sono visibili a molti altri utenti, sono pubblici ed esposti in vetrina.

Non possiamo ignorare il fatto che, chi mette in atto tali comportamenti, generalmente definito hater, è in primis portatore di alcune difficoltà. Di fondo c’è un deficit empatico, per cui chi critica non riesce a immedesimarsi nella vittima e tende a sminuire le conseguenze negative delle proprie azioni. A ciò si aggiunge una difficoltà nell’assumersi le proprie responsabilità, incentivata proprio dal mondo online che consente di agire dietro l’anonimato e falsi nomi.

Per l’hater non esiste la persona nel suo complesso ed il valore di un individuo è dettato dal suo apparire; la bellezza è quindi la chiave del successo e della realizzazione personale, l’autostima è inevitabilmente legata al proprio aspetto e al giudizio proveniente dall’esterno. Si tratta, spesso, di persone con esperienze di denigrazione nel loro sviluppo, insoddisfatte del proprio aspetto fisico, che abbracciano una cultura sessista, un perfezionismo estetico irraggiungibile.

La fascia di età maggiormente esposta a tutto questo è quella delle ragazze più giovani, adolescenti o poco più. Tuttavia, non si tratta di un fenomeno che coinvolge esclusivamente il mondo femminile: le statistiche indicano infatti che ad esserne state vittime siano il 94% delle ragazze e il 65% dei ragazzi.

Parlare del proprio corpo non è facile, è un argomento delicato, e per molti anche tabù. Questo perché le rappresentazioni del corpo sono strettamente collegate all’autostima. In ogni società si stabiliscono infatti standard di bellezza ideali che, di conseguenza, definiscono chi è più o meno desiderabile, almeno sul piano estetico. Già la consapevolezza di essere distanti da quell’ideale può minare l’autostima, se poi si viene anche presi di mira, le conseguenze possono essere allarmanti.

Queste critiche suscitano prima di tutto vergogna: si tratta di un’emozione complessa che nasce in seguito all’auto-valutazione di un fallimento personale rispetto a uno standard desiderato e, dato che il corpo rappresenta “ciò che è alla base di noi stessi”, essere attaccati per esso, significa, in un certo senso, sentirsi minacciati nel profondo, con ricadute pesanti sull’autostima. Il pensiero di essere diversi e difettosi può tornare sotto forma di pensieri negativi su se stessi (“non valgo niente”, “nessuno mi amerà”) e condurre anche a condotte di isolamento sociale: sentirsi diversi in senso negativo fa sentire anche impossibilitati a rispecchiarsi negli altri e ad appartenere a un gruppo. Senso di inadeguatezza e ritiro sociale, sono fattori di rischio anche per la sintomatologia depressiva, che a volte può diventare un vero e proprio disturbo. Lo stress e l’ansia dovuti ad una rappresentazione mentale sempre più distorta del proprio corpo, possono sfociare in disturbi del comportamento alimentare: cambiamenti nella dieta, restrizioni alimentari, condotte compensatorie, esercizio fisico eccessivo sono tra i primi campanelli di allarme.

La continua attenzione a particolari dettagli fisici può condurre anche a una visione distorta del proprio aspetto, che se consolidata, diventata dismorfismo corporeo, o ad un eccessivo ricorso alla chirurgia estetica. Nei casi più estremi, c’è anche il rischio di suicidio.

Chi è vittima di body shaming dovrebbe poter trovare uno spazio sicuro all’interno del quale esprimere liberamente ciò che prova, non sentirsi giudicato e imparare a prendere consapevolezza del proprio reale valore. Fortunatamente siamo molto più di un involucro e se ci sentiamo insoddisfatti di noi stessi, la soluzione migliore è affrontare un percorso di crescita personale per comprendere cosa ci rende realmente infelici e come cambiare in meglio.

Ognuno ha il diritto di essere rispettato, al di là del suo aspetto fisico ed essere offesi o denigrati per le forme del corpo è sbagliato. Oggi, finalmente, stanno sorgendo diversi movimenti volti a eliminare le discriminazioni legate al fisico e a promuovere l’accettazione del proprio corpo e delle sue imperfezioni. Tuttavia, è giusto sottolineare che il dibattito pubblico, spesso polarizzato su posizioni opposte, rischia di generare messaggi fuorvianti: gli estremi sono quasi sempre sbagliati e il vero equilibrio sta proprio nel mezzo. La soluzione migliore quindi non dovrebbe essere smontare uno stereotipo “sbagliato” proponendo l’esatto opposto, probabilmente altrettanto “sbagliato”, ma promuovere rispetto per la diversità e per le peculiarità di ognuno, incoraggiando un rapporto con se stessi sano e sereno.

Elena Cappa – Psicologa