Paolo Sorrentino, il critico Piazza: “Una sincerità che è difficile non amare”

11 Febbraio 2022

Dopo una decina di film e due stagioni di una serie tv, Paolo Sorrentino decide che è giunto il momento di raccontarsi e lo fa col film È stata la mano di Dio, candidato agli Oscar nella cinquina per il Miglior Film Straniero. Nello specifico si sofferma su un momento cruciale della sua esistenza, la tragica perdita dei genitori per un incidente domestico che poteva coinvolgere anche lui stesso, ma che la provvidenziale mano di Dio gli ha evitato. Il Dio in questione è Diego Armando Maradona, infatti l’impegno allo stadio per una sua partita gli ha salvato la vita.

Fabietto, così si chiama il suo alter ego, è un giovane liceale, schivo, senza amici, ma con una famiglia allargata tra parenti e vicini che costituisce l’impalcatura sulla quale si sorregge. La prima parte del film, pur non mancando di momenti tensivi, si muove ariosa e divertita, tra personaggi al limite della caricatura, ma che mirabilmente mantengono e manifestano una commovente umanità. Poi, dopo una sequenza che mi chiedo cosa possa essere costata a Sorrentino (a livello umano), tanto straziante quanto insostenibile nella sua cruda e banale rappresentazione, l’opera cambia registro. O meglio, l’impalcatura cede e Fabietto intraprende il percorso che lo trasformerà in Fabio, un uomo che troverà la sua strada grazie al cinema, strumento di crescita e di elaborazione (in tal senso illuminante il suo urlo di dolore “Non me li hanno fatti vedere” e la scelta di un mestiere che lavora proprio sullo sguardo).

Dimentichiamo la grandeur, il barocchismo ed anche la pesantezza delle ultime opere. Con ammirevole pudicizia Paolo Sorrentino col film È stata la mano di Dio racconta di se’, dei suoi cari, della sua città, miti e fantasmi che s’intersecano con la memoria, i ricordi terribili della realtà che si confondono con quelli illusori del sogno. Rimane Fellini sullo sfondo (palesemente omaggiato), ma non è più una presenza ingombrante. È un film che splende di luce propria, non so dire se il migliore di questo regista, di sicuro quello più disarmante nella sua timida sincerità, che è difficile non amare.

Paolo Piazza – Critico cinematografico