“Vieni e seguimi”: alcune riflessioni sul mio ingresso in Seminario a Mantova

17 Settembre 2018

«Vieni e seguimi!» (Mc 10, 21): è questo l’invito che mi ha rivolto il Signore.

Di fronte ad un invito del genere è naturale chiedersi che cosa persuade un giovane, oggi, a dedicare la propria vita a Dio.

Mi sento di rispondere con una certa sicurezza: senz’altro la ricerca della felicità. Ma cos’è la felicità? Per usare parole non mie, ma molto evocative, la felicità «è volere una cosa pensata in bianco e nero, perché non si è osato pensare di più, e poi riceverla a colori».

Cosa muove, allora, un giovane a questa ricerca? Perché, ad un certo momento della vita, magari proprio quando siamo affermati negli studi, nel lavoro o nella società, e ci sentiamo realizzati, avvertiamo il bisogno di guardare oltre?

Se ci abituiamo a pensare alle cose in bianco e nero, alla lunga quell’ombra finisce per incupire il nostro quotidiano. Per fare un passo avanti abbiamo bisogno di incontrare qualcuno che faccia sorgere in noi un’intuizione, un desiderio di spingerci al di là dei nostri ripari sicuri. Ma per cambiare prospettiva, adagiati e costretti come siamo nelle nostre convinzioni, certo non è sufficiente sentirci dire che esistono tanti altri colori, anche se più belli di quelli che già conosciamo. Abbiamo bisogno di sperimentarli di persona, proprio come Tommaso che, all’affermazione degli altri apostoli di aver visto Cristo risorto, risponderà: «Se non vedo…non crederò» (Gv 20, 25). Solo dopo aver visto e toccato di persona, osiamo scendere più in profondità. Così è anche, e prima di tutto, per l’amore: tutti amiamo. Ma dobbiamo chiederci che cosa amiamo. Ma come possiamo amare, se prima non veniamo amati? Dirà Gesù parlando ai discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi…» (Gv 15, 16-17).

Amore: questa è la parola chiave di qualsiasi vocazione. Questo è il sentimento che ci determina a passare all’altra riva (Mc 4, 35).

Quante volte, ripiegati su noi stessi, ci accontentiamo di una vita tiepida, oppure ci convinciamo che non ci manchi nulla? Solo chi ci ama davvero può farci prendere coscienza di quanto, invece, siamo disgraziati, poveri, ciechi, nudi e assetati. L’iniziativa che ci permette di rinascere a vita nuova, muove sempre da Dio, attraverso una intuizione del cuore, un incontro, un’amicizia, una relazione: è allora che la vita diventa l’occasione delle ripartenze, quelle belle. Si dice nella lettera agli Ebrei: «il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio».

Quando ci sentiamo cercati da una persona che ci desidera con amore paterno, è allora che ci mettiamo, a nostra volta, in moto e siamo anche disposti a rischiare, a lasciare, a cambiare. Se facciamo una reale esperienza di Dio – nel cuore, nella mente e nell’anima – allora ci rendiamo conto che è Lui che cerchiamo quando sogniamo la felicità; è Lui che ci aspetta quando niente ci soddisfa di quello che troviamo; è Lui la bellezza che tanto ci attrae; è Lui che ci provoca con quella sete di radicalità che non ci permette di adattarci al compromesso. È Lui, in sostanza, che suscita in noi il desiderio e ci esorta a fare della nostra vita un capolavoro quando dice a ciascuno: “Vedrai cose più grandi di queste!” (Gv 1, 50).

È in quel momento che non ci accontentiamo più di vivere in bianco e nero. È da allora che vogliamo godere di tutti i colori dell’arcobaleno in ogni istante della nostra giornata e divenire, a nostra volta, portatori di quella luce agli altri. Ma per farlo dobbiamo abbandonare il nostro individualismo, che ci tiene legati ai nostri ripari, alle nostre convinzioni, alle nostre sicurezze. Quando nasciamo siamo come un seme messo nella terra: abbiamo a disposizione del tempo per imparare a morire, cioè per rinunciare a noi stessi per amore. Se rispondiamo con amore all’amore, ci consumiamo: perciò, prima o poi, moriamo. E quando moriamo, ecco che ritroviamo la nostra vita in un germoglio pieno di energia, fresco, verde, anche se spunta da una cosa dura, rigida, consumata e morta.

Per rispondere al Suo amore, il Signore ci chiede di riporre fiducia in Lui, di avere fede, perché il Suo disegno d’amore per ciascuno di noi possa realizzarsi. «Venite e vedrete!», ci dice (Gv 1, 39). Certamente non è facile: sappiamo bene quello che lasciamo, mentre Dio ci esorta a fare delle scelte, ad osare, ma non ci firma un contratto, non ci dice esattamente cosa troveremo seguendolo. Nemmeno ci promette che il cammino sarà semplice, anzi, ci ammonisce dell’esatto opposto: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua». Ma ci fa anche una grande promessa: «chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16, 24).

Non comportiamoci, allora, come il giovane ricco del Vangelo di Marco che, pur desideroso della vita eterna, non è disposto ad uscire dal proprio individualismo e, dunque, di fronte alla chiamata di Gesù se ne va rattristato e scuro in volto (Mc 10, 17-22). Rinnegare noi stessi è una scelta per la vita, per la bellezza, per la gioia: è imparare il linguaggio dell’amore vero.

Tutto questo convince un giovane a dedicarsi al Signore: un incontro d’amore con Dio; un incontro talmente totalizzante che segna la vita. Allora ti rendi conto che quando hai Cristo sei ricco e ti basta, perché sarà Lui il tuo provveditore e il tuo procuratore in tutto, sarà Lui il tuo timore e il tuo amore, risponderà Lui per te e farà bene, farà quel che sarà meglio (Imitazione di Cristo, Lib. 2, 1-6).

Come ha detto Papa Francesco: «La chiamata di Dio è un dono che viene dato a qualcuno non perché sia più bravo degli altri o perché se lo sia meritato: è un regalo che Dio gli fa, perché con la stessa gratuità e lo stesso amore lo possa mettere a servizio dell’intera comunità, per il bene di tutti».

Ringrazio, dunque, il Signore di avermi fatto questa grazia e di avermi fatto incontrare testimoni che, in vario modo, mi hanno sapientemente accompagnato nel discernimento con la preghiera e che tutt’ora mi guidano. Grazie al Vescovo Marco, verso il quale imparerò pazientemente l’obbedienza e al Rettore del Seminario don Lorenzo. Grazie a don Giuseppe, per il tempo che con tanta dedizione mi ha riservato, per avermi permesso di sperimentare la mia vocazione al servizio degli altri; a don Matteo, per aver lavorato “spalla a spalla”, a don Jonathan, alle suore e ai fratelli seminaristi che camminano insieme a me. Un ringraziamento particolare agli educatori, ai ragazzi di 2ª e 3ª media e ai loro genitori, compagni di strada di questa vocazione: perché in ogni esperienza vissuta insieme ho incontrato il Signore; grazie agli educatori della parrocchia, agli scout e, naturalmente, agli amici di sempre (a Giovita, Devis, Arianna, Luca), con i quali ho condiviso dal principio questo cammino. Grazie alla mia famiglia, che è stata la prima, ed involontaria, destinataria della mia adesione all’invito di Dio, che affido alle vostre preghiere e alla vostra sensibilità in questo difficile momento di passaggio.

Concludo con un pensiero rivolto specialmente ai giovani: la felicità non arriverà domani, ma è già qui. Può essere, se lo volete, in ogni gesto che fate. A tutti è dato un presente ed è lì che – come una molla – il cuore può dilatarsi ad ospitare domande, esperienze e a dare tutto sé stesso.