La psicologa Elena Cappa: “Tra la vita e la morte, le nuove sfide dei giovani”

10 Febbraio 2021

La notizia della morte della bimba di 10 anni a Palermo ha da giorni fatto il giro del web e di tutti i canali di informazione, con titoli e testate angoscianti e allarmanti: pare che Antonella si sia uccisa “accidentalmente” seguendo una Blackout challenge circolante su Tik Tok (uno dei principali social utilizzati dalle nuove generazioni), che prevedeva di comprimere la carotide fino alla perdita dei sensi. Probabilmente molti adulti non conoscevano neppure l’esistenza di queste sfide sul web o ne sottovalutavano i potenziali rischi. Probabilmente la bambina non aveva davvero intenzione di spingersi fino a questo punto, avrebbe potuto allentare la presa e finire il “gioco”, ma evidentemente qualcosa è andato storto.

Che si parli di Tik Tok, di Facebook, o di altri social, non fa differenza. Il punto è che questa notizia dovrebbe imporci una seria riflessione. Dal punto di vista psicologico, è indubbio che le nuove generazioni sono molto più precoci di quelle di un tempo e che già a 10-11 anni iniziano a mettere in atto quei comportamenti che, evolutivamente parlando, sono più tipici del periodo pre-adolescenziale/adolescenziale. L’adolescente vive una delle più complesse fasi dello sviluppo, in cui non si riconosce più nel bambino del passato, ma non riesce ancora ad entrare a pieno titolo nel mondo dei grandi. Ecco allora che emerge il forte desiderio di definire se stessi, la propria identità e di sperimentare i propri limiti, assumendo un atteggiamento costante di sfida verso tutto e tutti. E quella a cui voleva partecipare Antonella, era proprio una sfida: mettersi alla prova, sfidando i coetanei, sfidando le regole dei genitori e, purtroppo, arrivando a sfidare anche la morte. Sì, perché da adolescenti ci si sente onnipotenti, invincibili e immortali e quindi le sfide sono finalizzate a ricercare emozioni forti, adrenalina, pericolo, rischio, e anche il confine tra vita e morte diventa labile e meno realistico.

A ciò si aggiungono le dinamiche del mondo social, che ben si conciliano con il bisogno adolescenziale di essere visti, di essere riconosciuti dagli amici virtuali e di ricevere la loro approvazione e ammirazione. Per questo, anche una sfida così pericolosa, può suscitare l’interesse di una bimba di 10 anni, perché anche altri amici l’hanno fatto e “quindi posso farlo anche io”, perché così si riceveranno tanti like e si dimostrerà a se stessi e agli altri di avere vinto, di essere forte. La popolarità sul web, i followers, i like diventano il termometro della propria autostima, del proprio valore e, per affermarsi, si diventa disposti a tutto. Peccato che tra tutti questi “seguaci” e “amici”, nessuno fosse lì realmente per fermare Antonella. Lei di fatto era sola. Nel mondo dei social regna in realtà una profonda solitudine, e le centinaia o addirittura migliaia di contatti, non sono presenze reali. Il dato preoccupante è che a volte quello social diventa, per i ragazzi, tutto il loro mondo: il web rappresenta la realtà principale, sostituisce qualsiasi altra forma di socializzazione e interazione, è la fonte dove trovare i propri modelli da ammirare ed emulare, è la vetrina in cui potersi mostrare come si vorrebbe essere e in cui poter omettere le parti buie, e diventa anche il terreno dove sfidarsi. Questo sempre maggiore avvicinamento dei giovanissimi alle tecnologie e al web, va gestito in modo adeguato da parte di noi adulti, attraverso presenza, condivisione e controllo.

Il web purtroppo offre anche contenuti pericolosi e come afferma Stefano Vicari (primario del reparto di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza all’Ospedale Bambin Gesù di Roma) “l’uso dei social e della rete in modo autonomo da parte dei bambini può nascondere insidie importanti. Non dovremmo lasciare un bimbo da solo davanti alla tv prima dei 5 anni e un ragazzino da solo su smartphone e tablet prima dei 12”. Questo perché bambini e adolescenti non hanno ancora sviluppato la capacità di comprendere realisticamente le conseguenze di un gesto, di stimare adeguatamente il pericolo, di filtrare e valutare in modo critico le informazioni che ricevono. Come afferma anche la dott.ssa Maura Manca (psicologa e presidente dell’Osservatorio Nazionale dell’Adolescenza) “il fatto che sappiano usare uno smartphone non significa che abbiano la consapevolezza di quello che stanno facendo” e il rischio, ormai più che concreto, è che imitino qualcosa senza essere in grado di percepirne la reale pericolosità e di capire quando fermarsi; per loro è divertente, fanno parte di una comunità e quando ci si diverte si abbassa il livello di percezione del pericolo.

Il controllo che i genitori devono esercitare, non ha nulla a che fare con la fiducia verso i propri figli: fidarsi significa avere la certezza che i propri figli dicano la verità, che rispettino le regole, che abbiano appreso determinati valori etc., il che è ben diverso dal ritenerli in grado di discernere le informazioni che li circondano in modo critico e consapevole, poiché questa è una capacità che viene acquisita in fasi evolutive più avanzate e non di certo nella prima adolescenza. Il percorso di digitalizzazione delle nuove generazioni non deve essere fermato, ma va perimetrato e guidato. E’ giusto che noi adulti rimaniamo attenti e vigili senza per questo diventare opprimenti. Sarebbe utile quindi imparare a conoscere e monitorare le abitudini dei bambini rispetto all’uso dei social e del web, in termini di frequenza, tipologia di contenuti visionati; porre maggiore attenzione ai piccoli cambiamenti, soprattutto nelle abitudini quotidiane come, ad esempio, la tendenza ad isolarsi, il peggioramento del rapporto con la scuola, una crescente ostilità verso i genitori. E’ responsabilità di noi adulti tenerci aggiornati sulle mode del momento, mostrare curiosità verso il mondo frequentato dai ragazzi, in modo tale da capire meglio cosa li attrae e come poterli guidare in un utilizzo più consapevole. Forse la notizia di Antonella è stata per tutti inaspettata e scioccante e purtroppo non c’è possibilità di tornare indietro, ma sicuramente questo dramma ci ha costretti a riflettere e, forse, a comprendere meglio cosa vivono i giovanissimi.

(Elena Cappa – psicologa di Castel Goffredo)