“Un popolo sacerdotale”: il commento al Vangelo della domenica

25 Aprile 2021

In questa domenica, quarta di Pasqua, cogliendo l’occasione dell’ultimo turno delle Prime Comunioni vorrei affrontare un tema di cui si parla piuttosto raramente: con il Battesimo diventiamo un popolo profetico, regale e sacerdotale. Questi tre aggettivi indicano la partecipazione diretta e personale alla condizione che Cristo ha incarnato venendo in mezzo a noi. Avrebbero bisogno di un commento e di una spiegazione appropriata ognuno. Oggi vorrei commentare soprattutto l’aspetto “sacerdotale”, perché nella celebrazione dell’Eucarestia lo esercitiamo in maniera specifica.

Anzitutto vorrei specificare il termine. Sacerdote solitamente è riservato ai ministri del culto e da parte di molti ci si fa riguardo ad usare la parola “prete”, perché sembra quasi offensivo. Il termine “prete” diminutivo di presbitero è quello giusto per definire il ministro di culto. I presbiteri (= anziano, sapiente, affidabile) erano le persone alle quali gli Apostoli e in particolare S. Paolo a cui venivano affidate le comunità perché fossero guidate nella fede. Il termine “sacerdote” (= mediatore) si riferisce essenzialmente a Cristo nella sua presenza e nella sua missione di fronte al Padre e a noi. In forza del Battesimo noi partecipiamo a questa condizione di Cristo e nell’Eucarestia specialmente la esercitiamo in modo particolare. Quindi con Cristo siamo mediatori tra Dio e il mondo. Il significato e le conseguenze di questa affermazione sono tante. E’ necessario fermarci a rifletterle per arricchire la nostra fede e per viverla con pienezza insieme ai fratelli e sorelle.

Cristo sacerdote media tra il Padre e noi. Ciò significa che prende dal Padre l’esperienza di comunione con Lui e la fa conoscere a noi, perché anche noi viviamo della sua stessa esperienza e viceversa, prende la nostra povertà umana e la presenta al Padre perché la accolga e noi non ci sentiamo soli. L’azione di Cristo non è quella di un funzionario, ma quella di chi partecipa in prima persona impegnando se stesso dall’inizio alla fine. Cristo sacerdote è anche vittima. La Lettera agli Ebrei mette in bocca a Cristo questa affermazione: Non hai gradito né sacrifici, né olocausti, ecco, vengo io a fare la tua volontà”. Cristo che fa la volontà del Padre è vittima di espiazione per il peccato dell’uomo. E’ necessario però precisare questo concetto. Noi pensiamo facilmente ad una sorta di compensazione che ripaghi il torto: il peccato ha fatto un torto nei confronti di Dio, c’è bisogno di chi ripaga questo torto. Senza pensare che subito dopo ci viene il problema annesso: ma Dio che è buono e perdona è ancora tale quando esige il sacrificio del Figlio? Anzi, sempre scorrendo la Bibbia, troviamo che Dio ferma la mano di Abramo e ne risparmia il figlio, mentre non ferma la mano dei Giudei che uccidono il suo Figlio. Dio non ha bisogno di soddisfazione per il peccato dell’uomo. Né si è offeso per il peccato dell’uomo. Invece il peccato, come abbandono di Dio e ricerca di realizzazione di sé solo in dimensioni umane (quindi precarie e caduche) conduce l’uomo in una situazione di impossibilità, cioè non riuscirà mai a realizzarsi in questo modo.

Il sacrificio di Cristo reintroduce l’equilibrio nei rapporti tra Dio e l’uomo, perché Cristo, ci ricorda S. Paolo nell’inno della lettera agli Efesini è stato obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome. Questo cammino a ritroso verso Dio includeva la morte, perché questa era entrata nel mondo attraverso il peccato e quindi doveva essere redenta. Se Cristo non fosse arrivato alla morte, la sua opera sarebbe rimasta incompleta. Invece sulla croce Cristo ha realizzato pienamente il progetto del Padre, la salvezza dell’uomo. In questo senso Cristo esercita il suo essere sacerdote. Da Lui ogni persona che vuole andare a Dio incontra Lui, perché Lui ci rivela il Padre, ci comunica la vita di Dio nello Spirito del Padre, ci dona la forza per superare le nostre difficoltà e ritrovare sempre la strada che ci conduce alla meta. Cristo ha operato questa grande e meravigliosa mediazione.

Noi con Lui e come Lui siamo impegnati a fare la stessa cosa, non semplicemente come imitatori, ma come partecipi in pieno e capaci di operare allo stesso modo. Ecco allora che abbiamo la capacità di orientare le cose a Dio. Ci accorgiamo, particolarmente i questi momenti, quando l’uomo vuol fare senza Dio. Basta fare una veloce riflessione sui problemi del mondo d’oggi (guerre, malattie, inquinamento…). Abbiamo la forza di orientare i nostri rapporti interpersonali. Abbiamo la possibilità di leggere gli avvenimenti nel progetto di Dio. Il lavoro paziente che possiamo fare in questo senso è un esercizio del nostro essere mediatori con Cristo perché tutto si realizzi in Lui. Portando all’Eucarestia la nostra vita, noi mettiamo in atto la nostra partecipazione diretta e personale al sacerdozio di Cristo.